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Intelligente, circolare, green. Economia del futuro? Economia del presente

Il mio intervento per EXPOELETTE 2016  – il 1° forum internazionale delle donne al governo della politica e dell’economia

Economie intelligenti. Economie circolari. Economie green. È questa la direzione in cui non può che procedere il cammino della contemporaneità: disastri naturali, avvenuti negli ultimi anni su tutto il pianeta, non sono infatti che avvisaglie, a detta degli studiosi, dei devastanti cambiamenti climatici che ci attendono, qualora l’umanità non decida di dare una sterzata netta alle caratteristiche del suo progresso. Qualche anno fa siffatte parole sarebbero state condannate come eccessivo catastrofismo, ora non più: tante donne e tanti uomini della politica italiana ed europea hanno capito che la sopravvivenza del nostro pianeta dipende da noi e dalle nostre scelte.

L’economia dell’usa e getta, dell’esaurimento delle risorse naturali, dello sviluppo ad ogni costo deve diventare un ricordo. Su ciò, Italia ed Europa coincidono. Senza esitazioni. La grande maggioranza delle risorse naturali, infatti, non è infinita; per tale ragione è necessario sfruttarle in modo sostenibile e duraturo, così che il loro valore si conservi nel tempo ed esse possano essere utilizzate fino alla fine del loro ciclo vitale, ovvero smesse solo dopo l’esaurimento di ogni forma di riutilizzo.

La parola d’ordine è economia circolare, sulla quale la Commissione Europea ha presentato nel dicembre 2015 un pacchetto di provvedimenti. In riferimento ad essa, è necessario, però, abbandonare l’idea che tale economia sia a perdere: se sapientemente sviluppata, essa infatti non mette da parte concetti quali competitività globale, crescita e occupazione, ma anzi li potenzia, affiancandoli con una forte componente etica. A suffragare tale tesi, si possono citare alcune stime della Commissione stessa: “la prevenzione dei rifiuti, la progettazione ecocompatibile, il riutilizzo e misure analoghe possono generare risparmi netti per le imprese europee pari a 600 miliardi di euro, ossia l’8% del fatturato annuo”, permettendo inoltre una connessa riduzione dell’emissione di gas serra nel nostro continente tra il 2 e il 4%.
Uno sviluppo economico di questo genere non può, quindi, che assumere tinte green. A tal riguardo, specialmente per noi italiani, un delicato ambito con cui confrontarsi è quello dei rifiuti. Tema complesso e pericoloso nel quale occorre avere una visione chiara, ambiziosa e di lungo termine, che coinvolga le tre fasi del ciclo di vita di un prodotto: produzione, consumo e gestione del rifiuto, connessa al mercato delle materie prime secondarie. Affinché il riciclo possa avvenire nel migliore dei modi, è necessario che la sua prospettiva sia ben presente sin dalla prima produzione delle merci: una progettazione del prodotto, che tenga conto del futuro riuso, è conditio sine qua non affinché esso abbia luogo.

Secondo dati della Commissione, l’Europa perde ogni anno circa 600 milioni di tonnellate di materiali contenuti nei rifiuti che potrebbero essere riciclati o riutilizzati. “Solo il 40% dei rifiuti generati dalle famiglie dell’UE è riciclato, con tassi di riciclaggio che vanno dal 5% all’80%, a seconda delle zone”. Nel cammino dell’Unione, la Commissione intende così fissare l’obiettivo comune di riciclo del 65% dei rifiuti urbani entro il 2030 (75% dei rifiuti d’imballaggio), dandosi un limite vincolante di collocamento dei rifiuti in discarica che non superi il tetto del 10%.
Rifiuti di particolare importanza in questo processo saranno: la plastica (il suo utilizzo cresce costantemente, ma non il suo riciclo, che si attesta a meno del 25%); i rifiuti marini (la Commissione stima che, attraverso le sue iniziative, essi si ridurranno del 25%); e soprattutto i rifiuti alimentari. Durante l’intera catena di approvvigionamento alimentare, nell’UE si sprecano o perdono ogni anno 100 milioni di tonnellate di alimenti – tra aziende agricole, trasformazione e lavorazione, nei negozi, nei ristoranti e nelle case. Tale spreco non può continuare: lo comandano norme economiche, sociali e soprattutto etiche.
Non bisogna dimenticare, però, che nel settore dei rifiuti si gioca non solo una battaglia di civiltà, ma anche di legalità: esso è ormai da anni di grande interesse per i gruppi della criminalità organizzata, che in questo ambito sono riusciti ha moltiplicare i loro introiti. La politica, gli amministratori nazionali ed europei dovranno così essere bravi a vincere sia la battaglia di civiltà, aiutando il nostro continente a diventare faro per il mondo in materia di economia circolare, sia la battaglia di legalità, non permettendo o sopportando alcuna sacca di malaffare in un area tanto difficile quanto ambita.
La strada sembra tracciata e come afferma Simona Bonafè, mia ex collega ed europarlamentare del PD: oggi, in Europa “abbiamo davanti una roadmap che, con azioni e scadenze precise, individua fin dal momento iniziale dell’eco-progettazione di un prodotto, i passaggi necessari per accelerare la transizione del nostro sistema economico da lineare a circolare, con una visione olistica fondamentale per noi socialisti e democratici”. Per arrivare a ciò è necessario condurre, in primis, una forte azione contro l’obsolescenza programmata ed a favore della riparabilità.

L’economia del futuro prossimo si tinge di verde però anche in un altro ambito, idealmente molto vicino all’economia circolare: quello del consumo del suolo (“l’incremento annuale netto della superficie agricola, naturale e seminaturale soggetta a interventi d’impermeabilizzazione”), del riuso del suolo edificato e della valorizzazione delle aree agricole. Il tema della finitezza delle risorse ambientali e territoriali è, anche in questo ambito, di estrema attualità, come lo è la presa di coscienza dei limiti del modello di sviluppo imperante nei decenni passati. Dal 1971 al 2010, l’Italia ha perso il 28% della superficie agricola (pari alla somma di Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna) soprattutto per via dell’abbandono dei terreni e della cementificazione; e ancora oggi, come sottolinea la responsabile “Ambiente” del PD Chiara Braga, malgrado la crisi del settore delle costruzioni, si continua a perdere suolo alla velocità di 55 ettari al giorno, costringendo il nostro Paese a dipendere sempre più dall’estero per l’approvvigionamento alimentare.
La politica italiana ha preso coscienza dell’impatto negativo che l’espansione delle aree urbanizzate ha avuto sul nostro ecosistema, con i conseguenti problemi di natura economica e sociale, con costi sempre maggiori per mobilità e realizzazione e gestione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria e con l’aumento dell’esposizione al rischio di parti rilevanti del territorio. Per ridurre tale fenomeno, il governo ha promosso il provvedimento “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” (AC 2039). Si è deciso di fissare limiti quantitativi al consumo di nuovo suolo agricolo coerentemente con gli obiettivi che l’Europa si è fissata per il 2050. Il provvedimento detta principi fondamentali per la valorizzazione e la tutela del suolo, con particolare riguardo alle superfici agricole e alle aree sottoposte a tutela paesaggistica, al fine di promuovere e tutelare l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente. Il consumo di suolo viene consentito solo qualora il riuso delle aree già urbanizzate e la rigenerazione delle stesse, priorità assolute, non costituiscano un’alternativa esplorabile. Tutto ciò, nel tentativo di muoversi al passo con gli obiettivi stabiliti dall’UE per il 2050, che prevedono il traguardo del consumo di suolo pari a zero.

L’economia circolare, la creazione di un nuovo rapporto con le materie prime e con i rifiuti, l’inizio di una nuova stagione che celebri il riuso del suolo invece che il suo consumo sono tutti sforzi ambiziosi, ma necessari per il nostro continente e per il nostro Paese. Condizione rilevante, affinché tale cammino possa essere percorso, sarà però la creazione di un contesto territoriale, e soprattutto urbano, smart: la nostra società potrà delineare forme di sviluppo verde, sostenibile e circolare solo se evidenzierà le caratteristiche di uno sviluppo intelligente racchiuso nella definizione di smart city, ovvero “i luoghi e i contesti, riferiti agli enti territoriali di livello comunale, metropolitano o di area vasta, nei quali siano stati avviati processi di innovazione ovvero siano stati adottati sistemi tecnologici finalizzati alla gestione innovativa delle risorse e all’erogazione efficiente di servizi integrati”. Creare un quadro coerente e integrato, che coordini lo sviluppo delle smart city nella penisola, come previsto dalla proposta di legge 3571, che mi vede come prima firmataria, sarà prerequisito fondamentale per far attecchire il nuovo modo di pensare lo sviluppo precedentemente delineato.
In questo modo, si arriverà ad un’economia più verde, ma probabilmente anche un po’ più rosa. Perché? A tale riguardo è il continente più vecchio di tutti a dare un insegnamento di grande spessore ed attualità: l’Africa. Là, infatti, seppur con notevoli differenze regionali, emerge un importante protagonismo della figura femminile e materna nell’ambito economico: si tratta di un protagonismo silenzioso, di rado da prima pagina, ma fondamentale per un’economia sofferente come quella del continente. Le donne africane sono il motore dei settori trainanti dell’economia: a loro si devono forme fondamentali di micro-credito, sviluppate su tutto il territorio, e a loro si deve la continua ricerca di forme autoctone di sviluppo economico e sociale. Soprattutto nelle aree rurali, la ricerca al femminile di uno sviluppo possibile sfocia nella promozione e nella diffusione della green economy come motore per la crescita economica. Di fronte ai cambiamenti climatici, alle siccità, ai segni evidenti di un pianeta che soffre – in Africa più che mai – a causa dell’azione umana, le donne hanno reagito prendendo scelte etiche e biologiche in special modo nelle attività agricole, ma non solo. Lo sviluppo green africano, a protezione di natura e ambiente, affida alle donne importanti fette di imprenditoria così come di attività sociali e istituzionali, come afferma il rapporto “Celebrating African Rural Women: Custodians of Seed, Food & Traditional Knowledge for Climate Change Resilience” diffuso il 25 novembre 2015 da African Biodiversity Network and The Gaia Foundation. Alla luce di tale esempio, non è forse possibile immaginare che siano proprio le donne la testa d’ariete per l’avanzata dell’economia del futuro, l’economia del presente, l’economia verde, sostenibile e circolare anche in Europa?

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