FAQ sulla riforma dell’assetto proprietario Banca d’Italia
Chi possiede Banca d’Italia?
La Banca d’Italia non è mai stata statale, ma proprietà degli istituti bancari e assicurativi. Storicamente, la Banca nasce da un processo di federazione delle Banche pre-unitarie, con un modello analogo a quello della Federal Reserve americana. La legge del 1936, pur fatta durante il fascismo, ha scelto di non assoggettare la Banca d’Italia al Governo, ma di lasciarla a debita distanza dalle ingerenze della politica. La riforma approvata dal Parlamento mantiene quella scelta.
Qual è oggi la compagine azionaria?
Con le privatizzazioni bancarie degli anni ’90 e il successivo processo di concentrazione bancaria si è realizzato un processo di concentrazione anche delle azioni di Banca d’Italia. Oggi più del 50 per cento è in mano a Intesa San Paolo e Unicredit.
C’è quindi il pericolo che i controllati (le banche) controllino il controllore (la Banca d’Italia esercita la vigilanza sui mercati del credito e delle assicurazioni)?
No, perché la Banca d’Italia è e resta un Istituto di diritto pubblico e i soci proprietari delle azioni non hanno alcun potere sulla governance dell’istituto e sulla gestione delle attività istituzionali della Banca. Tuttavia l’attuale assetto proprietario non è soddisfacente, e lascia a molti la possibilità di pensare che i grandi gruppi bancari possano esercitare qualche influenza sulle decisioni della Banca centrale, che deve invece restare indipendente.
Cosa succede con la riforma?
Nessuno potrà possedere più del 3 per cento delle azioni di Banca d’Italia. Gli azionisti che oggi ne possiedono di più dovranno vendere. Potranno comprare, oltre a banche e assicurazioni, anche le Fondazioni ex bancarie e i fondi pensione, con la limitazione che deve trattarsi di società aventi sede legale in Italia.
Perché si è scelto il modello “proprietà diffusa” invece di statalizzare la Banca d’Italia?
Qui ci sono opinioni diverse, trasversali agli schieramenti politici. Tremonti, nel 2005, aveva scritto una norma per la statalizzazione, oggi sostenuta dai 5 stelle e da SEL, ma anche da Forza Italia e da alcuni esponenti del PD. Naturalmente, se fosse lo Stato a comprare le azioni oggi in mano alle banche, ci vorrebbe una copertura finanziaria di svariati miliardi, da togliere ad altre voci di spesa pubblica o da ottenere con un aumento delle tasse. Chi è contrario alla statalizzazione, comunque, usa anche un argomento storico-politico: meglio avere una Banca d’Italia in posizione di servizio istituzionale rispetto allo Stato piuttosto che in posizione di comando gerarchico da parte del Governo pro tempore.
A quanto ammonta, prima della riforma, il capitale della Banca d’Italia?
A 156 mila euro, la cifra stabilita nel 1936 e mai aggiornata.
Che diritti hanno, prima della riforma, gli azionisti che possiedono quel capitale?
Lo statuto del ’36 prevedeva la distribuzione di utili agli azionisti nella misura massima del 4 per cento delle riserve della Banca. Si tratta di una regola molto favorevole agli azionisti, e infatti quel valore massimo non è mai stato raggiunto. Le riserve di Banca d’Italia ammontano a circa 15 miliardi, il 4 per cento varrebbe 600 milioni, mentre l’ultimo dividendo distribuito è di 70 milioni. Come rendimento sul capitale investito, però, non c’è male: 70 milioni di dividendo su 156 mila euro equivale a un tasso di rendimento superiore al quattromila per cento! Il punto è, ovviamente, che bisogna rivalutare il capitale originario stabilito nel 1936 e separare il calcolo dei dividendi dalle riserve – poiché in queste ultime sono compresi anche i frutti delle attività pubbliche e istituzionali di Banca d’Italia, i quali non possono essere distribuiti ai soci ma invece accumulati nelle riserve della Banca e retrocessi in parte allo Stato (l’ultimo dividendo attribuito allo Stato, sul bilancio 2012, è stato di un miliardo e mezzo).
Come procedere alla rivalutazione?
Finora è mancato un criterio omogeneo. Alcune banche azioniste, nei loro conti patrimoniali, non lo hanno rivalutato, altre lo hanno fatto, ma usando criteri diversi. In qualche caso, per effetto della norma statutaria che lega i dividendi alle riserve nella misura massima del 4 per cento, la rivalutazione è stata abbondante e si potrebbe da parte dell’azionista – teoricamente – accampare pretese legali sugli utili non distribuiti negli ultimi decenni. Merito della riforma è di stabilire un criterio oggettivo e uniforme per effettuare la rivalutazione.
Qual è la regola per la rivalutazione?
La nuova regola è che agli azionisti verrà riconosciuto un rendimento non superiore al 6 per cento del capitale investito (non più, quindi, delle riserve). Il valore del capitale viene portato a 7,5 miliardi. Quindi, il massimo dei dividendi attribuibili in futuro è di 450 milioni, una cifra inferiore al massimo oggi raggiungibile. Anche se, in tutti e due i casi, si tratta di valori puramente teorici, perché lo Statuto continua a conferire alla Banca, come in passato, piena discrezionalità nella decisione sugli utili da distribuire. Dato che la Banca d’Italia è un investimento assolutamente privo di rischio, è altamente probabile che il tasso di rendimento accettabile dal mercato sia molto inferiore al 6 per cento.
Qual è il beneficio “di sistema” di questa operazione?
Finora le azioni di Banca d’Italia non potevano far parte del capitale di vigilanza dei soggetti che le possedevano, appunto perché non stavano sul mercato e non c’era un criterio univoco di valutazione. Grazie alla riforma, potranno essere inserite nel capitale di vigilanza.
E allora? C’entrano forse Basilea 3 e i nuovi criteri prudenziali dell’Unione bancaria?
Sì. Le banche sono limitate, nel credito che possono erogare, dalla quantità del loro patrimonio. I requisiti di patrimonializzazione richiesti alle banche sono molto aumentati dopo la crisi del 2008-2009. Si è ritenuto che una delle cause della crisi risieda nel fatto che le banche siano state poco attente a valutare i loro impegni. Tutti gli organismi internazionali, e per ultima l’Unione Europea, hanno introdotto metodi più stringenti di valutazione dei rischi e requisiti patrimoniali più elevati. E questo è, insieme alla crisi dell’economia reale, una delle cause del credit crunch, e cioè della restrizione del credito bancario di cui soffrono, in Italia, soprattutto le imprese piccole e medie.
Quindi i 7,5 miliardi derivanti dalla rivalutazione rafforzano il patrimonio del sistema bancario?
Sì. E si ottiene questo risultato senza spendere neanche un euro del bilancio pubblico. I proprietari delle azioni rivalutate le venderanno sul mercato per scendere al 3 per cento: i soldi che andranno alle banche verranno dal mercato, non dallo Stato. In Germania invece, finora, lo Stato ha dovuto sborsare ben 64 miliardi di euro di spesa pubblica per ricapitalizzare le banche tedesche – molte delle quali hanno avuto rilevanti difficoltà, soprattutto nel comparto delle banche regionali. Il Regno Unito ne ha spesi 82, la Francia 25, la Spagna 64. L’Italia solo 6, destinati peraltro a emissioni obbligazionarie che verranno restituite all’erario e non a contributi a fondo perduto.
Ma questa operazione è permessa dalle regole europee?
In effetti si tratta di un’operazione un po’ border line: si ottiene un beneficio di sistema rivalutando carta che oggi non sta sul mercato (le azioni della Banca centrale). Per questo motivo la Bundesbank ha storto il naso e sono uscite in Germania opinioni contrarie – della serie “la creatività italiana ne combina un’altra delle sue”. La Banca centrale europea, però, ha dato il via libera all’operazione, anche se ha lamentato i tempi troppo stretti intercorsi fra la richiesta del suo parere da parte del Governo italiano e la successiva emanazione del decreto. Insomma, si tratta di un caso in cui l’Italia è riuscita a ottenere dall’Europa un’interpretazione delle regole a lei favorevole. Certo, il parere della BCE è molto deciso nel prescrivere che le riserve andranno ricostituite con adeguati accantonamenti negli anni futuri e che la Banca d’Italia deve mantenere una piena autonomia di finanziamento.
Perché le riserve della Banca d’Italia sono così alte?
Innanzitutto, sia chiaro che l’operazione in corso non concerne le riserve in oro (100 miliardi), né quelle speciali (circa 8 miliardi) ma solo quelle ordinarie e straordinarie (circa 15 miliardi). In effetti, l’ammontare complessivo delle riserve della Banca d’Italia è il terzo al mondo, dopo Stati Uniti e Germania e il secondo in Europa. Storicamente, derivano da un atteggiamento prudenziale dell’Italia – esistente da sempre, ben prima che fossero fissate le regole dell’Unione Economica e Monetaria. In passato, la motivazione era di avere sufficienti munizioni per difendere il cambio della lira. Dopo la crescita del debito pubblico italiano durante gli anni ’80 del passato secolo, le riserve sono diventate l’ultimo baluardo di garanzia sulla sostenibilità del debito.
Le riserve della Banca d’Italia potrebbero essere usate per altri scopi, ad esempio per finanziare investimenti pubblici o altre forme di spesa pubblica?
No, assolutamente no. Non si tratta di un “tesoretto” a cui liberamente attingere, ma appunto di un attivo che garantisce l’intero paese all’interno dell’Unione Economica e Monetaria. In passato, anche Romano Prodi tentò di strappare un margine di flessibilità per smobilizzare una quota delle riserve e utilizzarla per politiche di sviluppo, ma non riuscì a ottenere l’assenso delle autorità europee. Oggi, dopo la crisi finanziaria e con l’Italia soggetta alla crisi del suo debito pubblico, è impensabile anche solo ipotizzarlo. In realtà, le riserve non vengono spese neppure con l’operazione effettuata dal decreto 133, perché esse cambiano semplicemente collocazione all’interno dello stato patrimoniale della Banca d’Italia, spostando 7,5 miliardi da riserve a capitale sociale. Abbiamo però ottenuto il massimo possibile nelle condizioni date: utilizzarle come volano per il rafforzamento del patrimonio del sistema finanziario (bancario e assicurativo) italiano, con effetti indirettamente positivi sulla crescita tramite riduzione delle restrizioni sul credito.
Perché la riforma di Banca d’Italia è stata legata all’IMU?
Perché la copertura finanziaria per l’abolizione della rata IMU prima casa di dicembre è stata messa a carico del settore creditizio, finanziario e assicurativo, nonché della stessa Banca d’Italia, con l’aumento degli acconti IRES e IRAP e con un’addizionale straordinaria alle aliquote IRES, per un totale di 2,163 miliardi nel 2013 e 1,5 nel 2014. Mentre, da un lato, si chiede questo sforzo al settore, dall’altro gli si concede il beneficio indirettamente derivante dalla rivalutazione delle azioni della Banca centrale. Peraltro, dalla rivalutazione emergerà un introito fiscale aggiuntivo di circa un miliardo per il bilancio dello Stato. Questo introito, però, non è stato ancora quantificato né inserito nei quadri di finanza pubblica.
E’ vero che l’imposizione sulle plusvalenze derivanti dalla rivalutazione è agevolata?
Solo in parte. Si è stabilita un’imposta del 12 per cento. Per alcuni soggetti questa imposta è meno favorevole – potendosi tali soggetti avvalere della partecipation exemption (pex), che costerebbe molto meno (circa il 2 per cento). Per altri soggetti, che non potrebbero avvalersi della “pex”, invece il 12 per cento è meno di quanto si dovrebbe pagare con il regime ordinario IRES. Nel complesso, tuttavia, il gettito che deriverà dal 12 per cento è superiore a quello che sarebbe emerso mantenendo per ciascun soggetto la legislazione ordinaria vigente.
Insomma: ma allora va tutto bene in questo decreto 133?
No, il Partito Democratico ha criticato numerosi aspetti del decreto, sia nel metodo sia nel merito. Per quanto riguarda il metodo, una riforma così importante avrebbe dovuto essere fatta per legge e non per decreto. Bisogna capire però l’origine di questo errore da parte del Governo: l’origine sta nell’affannosa ricerca delle coperture finanziarie per l’abrogazione dell’IMU prima casa, una misura che ci è costata ben 4,5 miliardi nel 2013, senza distinguere fra chi avrebbe potuto tranquillamente continuare a pagare l’IMU sull’abitazione di residenza e chi invece aveva il diritto ad essere esentato – in base al valore della sua abitazione ovvero del suo reddito. Altri punti critici, di merito, riguardano la fase transitoria.
Cosa succede nella fase transitoria?
Per tre anni gli attuali proprietari delle azioni potranno venderle alla stessa Banca d’Italia. Nulla da eccepire sulla possibilità che la Banca d’Italia eserciti un’accorta regia nella riallocazione delle sue stesse azioni. Ma così la Banca si prende qualche rischio – se dovesse, ad esempio, acquistare a un prezzo superiore a quello di vendita. Il rischio è di tipo patrimoniale per la banca, ma anche di tipo politico per il paese, poiché se la Banca dovesse acquistare i suoi titoli dagli attuali proprietari a un prezzo “troppo alto”, si potrebbe configurare un aiuto di Stato vietato dalle regole europee. I paletti contenuti nella legge, nel parere della BCE e in alcuni ordini del giorno accolti dal Governo in aula dovrebbero ridurre questi rischi.
Tutto ruota intorno alla patrimonializzazione del ns sistema bancario imposto anche dalle regole di Basilea 2 e 3, e che forse, a mio giudizio, dovevano tener maggiormente conto del momento storico/economico che stiamo vivendo.
bella roba quello che stanno tentando di fare: si va a modificare l’assetto dei proprietari della Banca Centrale Italiana, oggi in mano ai maggiori cartelli finanziari operanti nel Belpaese, tra cui Intesa San Paolo, Unicredit e Assicurazioni Generali. Il Governo ha stabilito di trasformare la banca che una volta era degli italiani in una “public company”, dove di pubblico non ci sarà ovviamente nulla: ogni operatore del mercato finanziario globale potrà acquistare le quote di Bankitalia fino a detenere un massimo del 5% delle azioni. Questo significa, ad esempio, che le varie banche d’affari americane Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley e City Groups potranno spartirsi insieme ad altri operatori (magari Cinesi, Tedeschi ecc…) la Banca Centrale Italiana.
Il bello è che il Governo Berlusconi approvò nel 2005 una legge (la sconosciuta 262/2005) che prevedeva esattamente il contrario: la rinazionalizzazione della Banca d’Italia con il passaggio del 100% delle quote dai privati allo Stato Italiano. Accadde nel 2005, quando – dopo interminabili pressioni – finalmente si seppe chi erano gli azionisti di BdI, fino a quel momento sconosciuti. La legge approvata dal Parlamento dall’allora centrodestra non è mai piaciuta (chissà perché…) ai banchieri italiani, appena qualche mese fa il Presidente dell’ABI Patuelli chiese di cambiare la 262/2005 che in tanti anni non è mai stata resa operativa. Saccomanni, che viene proprio da Bankitalia, ha subito obbedito al dicktat e grazie al silenzio dei media, ora il Parlamento si accinge ad approvare un provvedimento che scippa in maniera definitiva la Banca Centrale agli italiani.
Ma c’è di più. Il motivo formale per cui non è mai stata resa operativa la 262/2005 è rintracciabile nella questione del capitale delle quote. Il valore di Bankitalia era, fino al decreto legge di Letta e Saccomanni, di appena 156.000 euro, cifra stabilita dalla legge bancaria del 1936. Con il DL del Governo e grazie ad una stima di alcuni “saggi” nominati dallo stesso Saccomanni, si è deciso in forza di legge che il valore della BdI è di circa 7 MILIARDI di Euro. Grazie a questa operazione gli azionisti come Unicredit, San Paolo etc… si sono ritrovati un grande capitale a disposizione, pronto da vendere al mercato. Capite? E’ come se il Governo stabilisse a tavolino che il valore della vostra società o della vostra abitazione fosse moltiplicato esponenzialmente! Un regalo unico ai soliti noti, con l’aggravante che quella creazione di denaro dal nulla (che tra le altre cose ha fatto incazzare anche la Bundesbank!) doveva andare a vantaggio dello Stato italiano, degli italiani, nostro.
A completamento di questa grande manovra alle spalle di tutti gli italiani, c’è da aggiungere la questione della riserva aurea di Palazzo Koch: tonnellate e tonnellate di lingotti d’oro nostri diverranno proprietà di chi comprerà la nostra Banca. Circa 100 Miliardi di riserve auree (l’Italia è il terzo Paese più ricco d’oro del mondo) voleranno via insieme all’ultimo residuo di sovranità del popolo italiano.
Gentile sig. NERI
proverò a rispondere alle sue perplessità .
Lei inizia la sua critica dicendo che oggi la Banca d’Italia é in mano agli operatori economici – finanziari conosciuti (banca intesa,unicredit,ecc) e che il decreto l’ha sottratta agli italiani.
Delle due l’una o sono degli italiani o sono delle banche private.
Vera la prima: la Banca d’Italia è una banca privata con azionisti privati.
Quindi mettere nel mercato quote di azioni serve a far sì che invece che di pochi azionisti, l’azionariato sia diffuso.
Sulla sua preoccupazione che siano i predatori stranieri a comprare le azioni può star tranquillo: é vietato per legge .
Lei si chiede perché non é stata applicata la legge sulla nazionalizzazione della banca d’italia voluta dal centro destra. La politica é stata accusata di aver regalato soldi dei contribuenti alle banche invece di averle date ai cittadini con il taglio delle tasse o con il mantenimento della spesa pubblica e lei ora chiede che i soldi pubblici vadano alle banche. Mi sembra un controsenso. io non penso che il privato sia buono per definizione (certe privatizzazioni dei capitani coraggiosi sono allucinanti) e qui non è avvenuta nessuna privatizzazione.
Qui la ricapitalizzazione invece che con soldi pubblici é avvenuta attraverso quote immesse sul mercato ai quali ognuno puo’ accedere.
L’Italia di solito e’criticata in quanto troppo debole rispetto a far valere i propri interessi rispetto i paesi forti europei Germania in particolare.
Ebbene in questo caso l’Italia e’ riuscita a vincere una battaglia europea con l’avvallo della BCE contro la Bundesbank contraria in quanto nella competizione tra banche rivali voleva fare i propri interessi a danni degli altri.
Per una volta che vinciamo non solo calcisticamente contro la Germania lei ci dice che ha ragione la banca tedesca ( unica ad aver posto dei veti).
Come partito democratico abbiamo fatto le critiche sul percorso con cui il Governo e’ arrivato a questo decreto , ma detto questo, c’e’ dietro un’operazione di sistema che fa bene all’intero Paese.
Molti in questi giorni ci hanno chiesto perche’ le banche hanno bisogno di capitale.
Le banche hanno bisogno di capitale perché dopo la crisi 2008-2009 in tutto il mondo l’interpretazione della crisi e’ stata che le banche hanno preso troppi rischi e d’ora in poi per fare crediti devono avere piu’ capitale .Il motivo per cui abbiamo la restrizione del credito e’da un lato la crisi dall’altro i nuovi criteri sopra richiamati.
Se non li hanno piu’ alti faranno meno credito …quindi con questa operazione si permetterà alle banche di dare piu’ credito alle imprese e ai privati.
Non cerco di convincerla ma ho solo tentato di spiegare il motivo della scelta
Saluti
Silvia
La banca centra è un istituto di diritto pubblico, non è privata. Non c’è infatti nessuna banca privata cui statuto viene modificato per decreto dal governo. E non è una spa, dato che non si parla di azioni, ma di quote. E non è privata dal momento che le banche che detengono il capitale non hanno nessun ruolo di vigilanza (che passerà alla bce tra poco tempo) e nessun ruolo o influenza nella politica monetaria. La norma del 2005 non prevedeva una passaggio al Tesoro, ma bensì il riassetto dello statuto e la distribuzione delle quote. Legge disattesa fino a quella attuale.
Almeno voi del pd ditele giuste.
Queste sue FAQ sono l’esempio di un servizio al cittadino fatto bene.
Cara Silvia Frgolent, benissimo, grazie per l’intervento informato. Per completare il quadro andrebbe comunicato a tutti noi un altro importante dato: la serie storica dei dividendi che i soci privati hanno ricevuto da Bankitalia almeno dal dopoguerra in poi. Nel suo intervento infatti è riportato che nel 2012 il dividendo è stato di 70 Milioni di euro ma a me risulta che negli anni passati la distribuzione dei dividendi sia stata molto prudenziale: alle banche private arrivavano pochi spiccioli, non certo cifre che si avvicinassero al 4% delle riserve. E ciò è giustificato dal fatto che non c’è nessun motivo per il quale sia giustificabile la distribuzione di ricchezze generate dai poteri pubblici e monopolistici di Bankitalia ai soggetti storicamente fondatori: sono ricchezze pubbliche, non private; oppure su questo punto ci possono essere dei dubbi? Ora Lei mi dovrebbe spiegare quale elemento logico porta a considerare corretto attribuire ai soci fondatori la spartizione d’ora in avanti di centinaia di milioni in dividendi annui, perché è di questo che si tratta: il passaggio da una storia di pochi spiccioli, fatto salvo forse il 2012 in cui si parla di 70 milioni, a una previsione di centinaia di milioni annui, col limite di 450 milioni annui. Se si è rivalutato il valore nominale a 7,5 miliardi di euro, certo i dividendi non potranno più tornare a pochi spiccioli ed inoltre, se si volesse nazionalizzare Bankitalia, bisognerebbe compensare le voci di bilancio delle banche proprietarie dei 7,5 miliardi o più di valore. Per ultimo infatti, quale può essere il valore di mercato di tali quote? Se le aspettative sono di dividendi vicini ai 450 milioni annui, si potrebbe anche pensare che il reale valore delle quote, stante gli esborsi reali prevedibili dai fondi di Bankitalia alle banche private, possa essere significativamente maggiore.
Gent.sig.Genovesi
Grazie per aver trovato il tempo di interloquire con me cerco di rispondere alle sue sollecitazioni.
Nel vecchio statuto la distribuzione delle riserve era del 4% , valutabile oggi in 600 milioni.
Nel nuovo statuto è stato modificato.La mancata divisione degli utili agli azionisti della banca d’Italia dei dividendi passati potrebbero essere oggetto di contenzioso da parte degli stessi.
Il provvedimento di oggi cerca di porvi rimedio .
Lei dice quale valore di mercato delle quote.Ovviamente non sono un’indovina ma posso dirle quel che la logica mi porta a concludere. Essendo che queste azioni sono a basso rischio data che la banca d’Italia non può’ fallire (tanto per intenderci sono piu’ certe dei btp ) è probabile che gli azionisti accettino percentuali di guadagno inferiori al 6%data la solidità dell’investimento.
Ho cercato di rispondere alle sue osservazioni. Resto a disposizione per ogni altro chiarimento.
Saluti
S.f.
La ringrazio per la cortese risposta, ma non le sembra discutibile regalare a Intesa e Unicredit centinaia di milioni di euro l’anno per evitare possibili contenziosi sui dividendi passati non distribuiti?
Non pensa che se nel corso degli ultimi 80 anni l’Italia non ha mai dato alle banche formalmente proprietarie dividendi consistenti non era per cattiveria o ingiustizia ma per il fatto che era corretto considerare Bankitalia e le sue riserve non nella disponibilita’ degli azionisti, considerati correttamente un residuo storico della sua fondazione?
Non le sembra infatti che le ingenti risorse di Bankitalia non dipendano dalle capacita’ degli azionisti che per legge non hanno poteri di nomina sugli amministratori ma dalle attivita’ monopolistiche di Bankitalia che la legge le assegna?
Se per 80 anni i governi hanno ritenuto corretto non distribuire dividendi se non puramente simbolici, a cosa dobbiamo il cambio di rotta politica su questo punto della maggioranza attuale?
Come puo’ lei e il Pd non considerarlo un regalo ai cosiddetti “poteri forti”?
Se si voleva aiutare le banche a superare gli stress test, perche’ non utilizzare altri strumenti come i Tremonti bonds che prevedevano una remunerazione del prestito e soprattutto la restituzione del capitale?
E per mettere in circolazione qualche miliardo di Bankitalia, non era sufficiente prevedere un aumento dei dividendi distribuiti al Tesoro?
Per ultimo trovo veramente assurdo che questo regalo agli azionisti privati da parte del Governo non appaia come tale in nessun organo di stampa di rilievo: nessuno ne parla, non il Corriere, non Repubblica, non l’Unita’ e per ultimo non una parola dal segretario Renzi: un silenzio talmente diffuso che definirei ASSORDANTE.
Cordiali saluti
Alberto Genovesi
Buonasera!
Grazie delle indicazioni, ma… mi rimane non chiaro quello che faceva notare Alberto, e di cui parlano anche Alberto Bisin, Michele Boldrin e Andrea Moro in questo articolo: http://noisefromamerika.org/articolo/quote-bankitalia-solita-porcata
I dividendi che verrebbero (e venivano) pagati agli azionisti della Banca d’Italia, da dove vengono? Sono parte dell cosiddetto “signoraggio”? Cioè sono parte delle rendite derivanti dall’emissione di moneta che la BCE gira alle banche nazionali? Oppure provengono esclusivamente da altre attività della Banca d’Italia? Quali?
Luca Fornasari
Cara Silvia Fregolet vorrei avere delle delucidazioni in merito alle affermazioni ” non si spende neanche un euro del bilancio pubblico ” ma pensate che noi italiani siamo tutti ingenui !termini patrimoniali: Le banche che si trovano in pancia quote di Banca d’Italia vedono artificialmente aumentare un attivo patrimoniale su cui calcolare i requisiti di solvibilità (Bce e tedeschi permettendo), si tratta di un artificio contabile in quanto nella realtà in caso di necessità le quote di banca d’Italia non “sarebbero” facilmente liquidabili. E vorrei farvi riflettere sul fatto che nel decreto è stabilito il limite del 3% alla partecipazione di ciascuna banca privata nel capitale di Banca d’Italia e dunque qualcuono dovrà ricomprare le quote in eccesso e verosimilmente sarà lo Stato …. ma ad un prezzo infinitamente più grande di quello precedente (dubito che le banche tedesche o francesi si affanneranno a comprare quote di Banca d’Italia al prezzo rivalutato) realizzando così un improprio aiuto di stato senza ottenere in cambio nulla (cioè senza avere quote di capitale o il controllo della banca aiutata)
In termini di conto economico futuro: siccome i dividendi sulle quote di Banca d’Italia sono commisurati con il valore nominale delle quote, il loro innalzamento provoca un enorme aumento dei dividendi annuali distribuiti alle banche dalla Banca ‘d’Italia, e in ultima analisi di un improprio impoverimento del patrimonio pubblico a favore di istituti bancari. E’ vero che in cambio le banche saranno extra-tassate per circa 1,5 miliardi di euro ma in capo a meno di 3 anni esse riceveranno indietro con gli interessi – Il governo ha deciso di ricapitalizzare le banche italiane dalla porta di servizio, non solo e non tanto attraverso l’erogazione da parte della Banca d’Italia di dividendi, a valere su utili netti, che non potranno comunque eccedere il 6% del capitale rivalutato della banca centrale ma soprattutto attraverso il riacquisto (dalle banche) da parte della medesima di proprie quote eccedenti il 3%. Decisione assai discutibile, gravida di potenziali scompensi futuri di varia natura, oltre che del rischio non trascurabile di finire un giorno a distribuire a banche private l’utile da signoraggio della Banca d’Italia o di rivalutazioni che in nessun caso hanno natura riveniente da attività privata e privatistica del nostro istituto centrale. Si è partiti con l’idea di fare cassa minima per pagare parte della maledetta Imu prima casa 2013, si è finito col dirottare la creatività verso ambiti più ampi e rilevanti.
Dunque arrivo al punto: sul perchè è stato creato un meccanismo per cui lo Stato e Banca d’Italia, sia attraverso un aumento di valore delle quote di Banca d’Italia (in mano alle banche private) che verranno ricomprate dallo Stato Stesso a prezzo super maggiorato, sia attraverso un copioso flusso di dividendi stanno ricapitalizzando alcune banche italiane, guarda caso quelle a più a diretto controllo politico grazie alle MALEDETTE fondazioni bancarie.
Si tratta semplicemente di far mantenere il controllo delle banche italiane alle Fondazioni Bancarie a nomina politica, niente di più.
In realtà il 100% delle banche italiane è perfettamente in grado di andare sul mercato ed effettuare gli aumenti di capitale necessari per riequilibrare la propria situazione patrimoniale.NON E’ UN PROBLEMA DI MANCANZA DI CAPITALI ma DI CONTROLLO:
Perchè alcune fondazioni bancarie A NOMINA POLITICA, NON hanno i soldi effettuare l’aumento di capitale e dunque perderebbero il controllo delle banche da ricapitalzzare.
Dunque con questo meccanismo lo Stato usa i soldi dei cittadini per rafforzare le banche mantenedo al potere lo stesso azionariato di controllo che ha creato il disastro, e ogni riferimento alla Fondazione Monte Paschi e alla Fondzione Carige NON è casuale (per fare due esempi).
In sintesi: ancora una volta vi prego di aprire gli occhi, qui non siamo di fronte al Gomblottone Euro-Tedesco per mettere le mani sulle “preziosissime” quote di Banca d’Italia, nessun tedesco si sogna neppure di notte di buttare nel cesso soldi per acquistare quote di Banca d’Italia megarivalutate.
NO ancora una volta, per l’ennesima volta, siamo di fronte al furto legalizzato di beni pubblici accumulati con decenni di tasse degli italiani in favore di una ristretta casta .Distinti saluti
Buonasera Silvia, le segnalo la presa di posizione di Adusbef e Federconsumatori sulla vicenda, è un’ottima lettura.
Rivalutazione quote Bankitalia: denunce a 130 Procure
http://www.wallstreetitalia.com/article/1662908/banche/rivalutazione-quote-bankitalia-denunce-a-130-procure.aspx
Ci sarà pure un giudice a Berlino, diceva il mugnaio di Potsdam, speriamo che ne rimanga qualcuno anche in Italia!!