Il mio intervento in Aula in ricordo di Pasolini
“Solo l’amare, solo il conoscere conta,
non l’aver amato, non l’aver conosciuto.
Dà angoscia il vivere di un consumato amore.
L’anima non cresce più”.
Questo – signora Presidente e cari colleghi – era Pier Paolo Pasolini, di cui ricorre in questi giorni il 40 esimo della morte. Era un passo di una poesia, raccolta nelle Ceneri di Gramsci, una collezione di versi pensata nel cimitero degli Inglesi a Roma. Condensare in brevi battute il passaggio terreno di Pier Paolo Pasolini è impossibile. La sua vita è stata così ricca, frenetica e impetuosa da far venir il capogiro. Nato a Bologna e vissuto per un tratto nell’aspro e laborioso Friuli, Pasolini fu segnato da rapporti familiari strettissimi e tragici – un fratello ucciso dalla fazione partigiana avversa e una madre ingombro e rifugio al contempo – e da amicizie profonde, a cominciare da Laura Betti, Enzo Siciliano, Alberto Moravia, Dacia Maraini e poi ancora con Totò e Fellini.
Vedere, capire, carpire e possedere erano per lui la stessa cosa. Non c’era segmento della vita che lui non abbia visitato intensamente: politica, letteratura, cinema, esperienza sessuale.
Pasolini fu un precursore da molti punti di vista: ebbe la visione di ribellarsi all’autorità che si trasforma in autoritarismo; alla tradizione che si trasforma in ortodossia asfittica; alla politica che si trasforma in politicismo (è sua l’espressione – che oggi diamo per scontata – Palazzo, contrapposta alle persone della strada); al sentimento religioso che si trasforma in precetto chiesastico.
Oggi viene da pensare a Gennaro, lo scugnizzo napoletano cui egli rivolge i brani delle sue Lettere luterane: lo esorta a restare libero, a farsi la propria personalità, conservando la sua genuinità, lontano dalle bardature del pensiero pedagogico conformista che gli pareva si stagliassero sulla strada della crescita dei giovani italiani.
Ecco: forse nella metafora di Gennaro (o di Concetta) possiamo intravederci tutti e riconoscere come le critiche di Pasolini alla sua contemporaneità fossero tanto anticonformiste e quanto profetiche.
Enrico Berlinguer (a differenza di tanti attorno a lui) colse lo spirito di Pasolini e – appreso della sua morte terribile – decise per i funerali ufficiali di partito. Per questo (e per quello che ho tentato di tratteggiare velocemente stasera) quei funerali a San Lorenzo ci appartengono ancora.